giovedì 29 maggio 2014

SI FA PRESTO A DIRE: RACCOMANDAZIONE


   
   La recentissima indagine ISTAT, tra l'altro, riporta alla ribalta delle cronache, ancora una volta il problema legato al modo con cui i giovani cercano lavoro in Italia.


        Pur non essendo cambiato nulla da tantassimo tempo, la stampa si diletta a guardare le cose dall'angolo visuale che di volta in volta viene giudicato più opportuno, in relazione al contesto socio-politico che si attraversa. Nulla si fa per cercare di comprendere e far comprendere i fenomeni e le sottostanti cause che determinano certi comportamenti. Si accontenta soltanto l'opinione pubblica ed i 'clienti' lettori, rafforzando quelle che si suppone siano le loro considerazioni consolidate.



        Se non si riflette su quale sia il contesto socio economico organizzativo dove si sviluppano certe metodologie e si ha fretta di arrivare ad una conclusione AD EFFETTO (!), beh allora possiamo dire la prima cosa che ci viene in mente; se al contrario siamo in grado di analizzare e comprendere il campo di utilizzo di certe modalità e conosciamo anche il contesto sociale circostante, allora ci accorgeremmo di una serie alquanto ampia di sfaccettatture del fenomeno in esame.


Nel  libro 'Trovare Lavoro, un Lavoro' (1)  pubblicato nel lontano 2007, indicavo che esistono almeno 4 tipologie di modalità di 'SEGNALAZIONE' e non tutte sono riconducibili al significato negativo di RACCOMANDAZIONE, queste sono la segnalazione:

            a) politica
            b) familiare
            c) collaborativa
            d) pratica


Questo sezionamento già aiuta, ma entrare nelle specifiche fattispecie come si fa nelle pagine del libro dedicate all'argomento consente di comprendere con chiarezza l'enorme differenza di un comportamento da un'altro. Inoltre si è facilitati a comprendere l'importanza di un elemento aggiuntivo fondamentale che molto spesso viene ignorato o almeno fortemente sottovalutato che è l'affidabilità di chi cerca lavoro. 
     
     Molto spesso questo elemento, per una serie di motivi opportunamente analizzati nel libro, nella grandissima parte del sistema industriale Italiano assume un posto predominante e fondamentale.
    E' per questo che fin tanto che la struttura del sistema industriale sarà quella che è ora non sarà possibile modificare sostanzialmente la principale metodologia di selezione del personale. 
      
  Ma tuttavia non è utile a nessuno, anzi è estremamente fuorviante, bollare tutto come RACCOMANDAZIONE!

(1) oggi disponibile in formato e-book su Amazon.com


domenica 4 maggio 2014

A proposito di Mismatch

Studio ergo Lavoro - McKinsey & Company  - Inserto del mese di HBR - aprile 2014


Dalle prime battute, la lettura del documento citato stimola una serie di riflessioni che mi fa piacere condividere
     
Nell’ultimo numero di HBR è stata inserita un’interessante indagine, realizzata da McKinsey&Company, che lega Studio e Lavoro in Italia.

Con mia grande delusione anche questa blasonata società non sembra portare sul tavolo del confronto nuove idee e considerazioni. Perciò, nell’ambito del possibile, cercherò di esporre il mio punto di vista su alcuni argomenti.

Uno degli aspetti di fondo che credo debba essere considerato è dato dall’Osservazione della realtà così com’è e non solo come i dati di cui disponiamo ce la fanno apparire. Senza legare la ricerca quantitativa al riscontro esperienziale, ovvero senza verificare se l’analisi condotta sui dati giunge a risultati diversi da quelli ipotizzati, rischiamo di costruire artefatti irreali su cui costruiamo tesi e teorie che non saranno in grado di comprendere la realtà e incidere su di essa.

    Nel dettaglio se non si dispone di una visione complessiva, chiara e sintetica, sul fenomeno in analisi, non possiamo disporre di elementi di base per valutare i risultati che la nostra ricerca ci offre. Parimenti se, per comprendere la realtà utilizzassimo i moltissimi casi d’eccellenza, che tuttavia rappresentano valori infinitesimali dell’universo delle nostre imprese, non potremmo che fare analisi errate.

La prima cosa da fare è cercare di ricostruire un quadro complessivo sintetico contenente però dati utili a comprendere la situazione; per farlo utilizzerò dei dati che seppur non attualissimi non rappresentano, tuttavia, una realtà lontana dall’attuale.

Per indagare la situazione lavorativa italiana, a mio avviso si deve partire da un aggregato tipo quello qui riportato ottenuto selezionando dati di un’indagine del 2008:


  Fonte: Elaborazione dati da à Lo stato delle piccole imprese: Italia Europa USA, a confronto - Ilario Favaretto e Giorgio Calcagnini - Facoltà di Economia e Commercio Università di Urbino "Carlo Bo” – Urbino 22 Aprile 2008


Questi dati ci dicono che, in Italia,  il 99,4% delle imprese: 
  • occupa il 69% dei lavoratori,
  • produce il 55% del Valore Aggiunto (VA) totale,
  • VA che pro-capite è pari a 31.080€ .

Nell’EU27 lo stesso segmento dimensionale d’imprese, rappresentail 98,5%  del totale: 
  • occupa ‘solo’ il 47% dei lavoratori
  • produce il 38% del VA
  • Per un VA/pro-capite pari a 34.030€
   Già da questo primo confronto emerge chiaramente un sistema italiano composto da tantissime piccole imprese con un livello di produttività molto più basso della media EU27, che nel 95% delle imprese si ferma a 26.533€, ca. 16,00€ in meno , (-38%) (!) rispetto alla media EU27  .

Quindi proseguendo l’analisi si nota che nel restante 0,6% delle aziende italiane  si colloca il 30,8% degli occupati mentre il corrispondente raggruppamento EU27, rappresenta   l’1,5% delle aziende ed accoglie il 52% di occupati. La produttività di questo aggregato, però, in Italia è superiore a quella EU27, in particolare per le GI raggiunge i 60.580€ contro i 53.963€ delle GI dell’EU27.
 
Sintesi Grafica - uno schema grafico permette di seguire più velocemente le dinamiche rappresentate dalla tabella numerica

     Da questo sintetico quadro emerge abbastanza chiaramente sia  la differenza strutturale italiana rispetto a quella EU27 ma anche una grandissima variabilità all’interno dello stesso sistema Italia. O meglio una grandissima distanza tra il ‘livello’ delle PI e quello delle GI.

Nel complesso il sistema italiano risulta avere una produttività inferiore all’EU27: realizzando un VA pro-capite pari a 38.816€ contro 42.314€ realizzato in Europa. Tutto ciò porta a pensare che le competenze e le logiche operative presenti non vadano nella direzione della professionalità, competenze e preparazione necessarie.

     Le differenze evidenziate mostrano che a fianco ad un piccolo nucleo di grandi aziende ben organizzate c’è un sistema che vive basandosi su l’’esperienza’ e su  competenze del tutto ‘anomale’ (ne tratteremo in altri articoli) degli imprenditori  italiani che per ottenere i livelli di produttività evidenziati non cercano né hanno mai sentito la necessità di ricercare competenze tecnico-gestionali di livello più alto di quelle finora utilizzate (anche perché tecnicamente, professionalmente ed umanamente INCOMPATIBILI, con gli attuali gestori). Situazioni del genere non credo possano quindi essere analizzate con l’aiuto di chi è all’interno del sistema e che, in genere, individua tutti i problemi solo all’esterno del proprio ambiente

All’estremo opposto, non possiamo generalizzare esigenze, reali ma dimensionalmente molto modeste, di quel drappello di Grandi e Medie Imprese che avrebbero interesse a poter selezionare ‘prodotti’ di maggiore qualità dalla scuola. Qui il problema è però un altro : viste le ridottissime dimensioni di certi fabbisogni, occorre chiedersi se sia giusto produrre una qualità così alta che per trovare impiego deve andare all’estero, incrementando quel Mismatch già abbastanza presente ma che viene sempre visto dal lato sbagliato.

Perché dovremmo investire per far utilizzare gratuitamente, anche solo parte di tali investimenti, ai nostri competitor : EU27, USA, Australia, Canada etc…?

Probabilmente il primo investimento da effettuare dovrebbe mirare ad incrementare la produttività del sistema Italia. Quindi ad elevare/cambiare le competenze di base dei piccoli imprenditori; aiutarli ad incrementare il Valore Aggiunto (con azioni lato ricavi, prima che costi), cercando di migliorare la redditività e la patrimonializzazione delle imprese, in modo da consentire loro di effettuare i necessari investimenti in tecnologia, competenze e professionalità.  Supportandoli fino a metterli  in grado di comprendere quali ‘prodotti’ del sistema formativo possano essere utili per loro e cosa fare per renderli quanto più velocemente adeguati al mondo del Lavoro.

In estrema sintesi prima di creare un prodotto eccellente, sarebbe forse più opportuno predisporre un ‘contenitore’ di qualità in grado di non disperdere e  valorizzare al massimo detto ‘prodotto’

     La prossima riflessione sulle attuali competenze imprenditoriali e sulle risorse destinate alla ricerca ed i loro potenziali effetti, ci consentirà di vedere con ulteriore evidenza quanto, PRIMA ancora del sistema SCUOLA, il nostro problema si chiami: Sistema Imprenditoriale.

 

per concludere, volevo dirvi che anche in AUSTRALIA lo sanno, chissà quanto ci vorrà perchè lo si scopra anche in Italia (ascoltate dal minuto 17 di questa trasmissione)...