Studio ergo Lavoro -
McKinsey & Company - Inserto del mese di HBR - aprile 2014
Dalle prime battute, la lettura del documento citato stimola una serie di riflessioni che mi fa piacere condividere
Nell’ultimo
numero di HBR è stata inserita un’interessante indagine, realizzata da McKinsey&Company,
che lega Studio e Lavoro in Italia.
Con
mia grande delusione anche questa blasonata società non sembra portare sul
tavolo del confronto nuove idee e considerazioni. Perciò, nell’ambito del
possibile, cercherò di esporre il mio punto di vista su alcuni argomenti.
Uno
degli aspetti di fondo che credo debba essere considerato è dato
dall’Osservazione della realtà così com’è e non solo come i dati di cui
disponiamo ce la fanno apparire. Senza legare la ricerca quantitativa al
riscontro esperienziale, ovvero senza verificare se l’analisi condotta sui dati
giunge a risultati diversi da quelli ipotizzati, rischiamo di costruire
artefatti irreali su cui costruiamo tesi e teorie che non saranno in grado di comprendere
la realtà e incidere su di essa.
Nel
dettaglio se non si dispone di una visione
complessiva, chiara e sintetica, sul fenomeno in analisi, non possiamo disporre
di elementi di base per valutare i risultati che la nostra ricerca ci offre.
Parimenti se, per comprendere la realtà utilizzassimo i moltissimi casi d’eccellenza,
che tuttavia rappresentano valori infinitesimali dell’universo delle nostre
imprese, non potremmo che fare analisi errate.
La
prima cosa da fare è cercare di ricostruire un quadro complessivo sintetico
contenente però dati utili a comprendere la situazione; per farlo utilizzerò
dei dati che seppur non attualissimi non rappresentano, tuttavia, una realtà
lontana dall’attuale.
Per indagare la situazione lavorativa italiana, a mio
avviso si deve partire da un aggregato tipo quello qui riportato ottenuto
selezionando dati di un’indagine del 2008:
Fonte: Elaborazione dati da à Lo stato delle piccole imprese: Italia Europa USA, a
confronto - Ilario Favaretto e Giorgio Calcagnini - Facoltà di Economia e
Commercio Università di Urbino "Carlo Bo” – Urbino 22 Aprile 2008
Questi
dati ci dicono che, in Italia, il 99,4%
delle imprese:
- occupa il 69% dei lavoratori,
- produce il 55% del Valore Aggiunto (VA) totale,
- VA che pro-capite è pari a 31.080€ .
Nell’EU27
lo stesso segmento dimensionale d’imprese, rappresentail 98,5% del totale:
- occupa ‘solo’ il 47% dei lavoratori
- produce il 38% del VA
- Per un VA/pro-capite pari a 34.030€
Già
da questo primo confronto emerge chiaramente un sistema italiano composto da
tantissime piccole imprese con un livello di produttività molto più basso
della media EU27, che nel 95%
delle imprese si ferma a 26.533€, ca. 16,00€ in meno , (-38%) (!) rispetto alla
media EU27 .
Quindi
proseguendo l’analisi si nota che nel restante 0,6% delle aziende italiane si colloca il 30,8% degli occupati mentre il
corrispondente raggruppamento EU27, rappresenta l’1,5% delle aziende ed accoglie il 52% di occupati. La produttività di
questo aggregato, però, in Italia è superiore a quella EU27, in particolare per
le GI raggiunge i 60.580€ contro i 53.963€ delle GI dell’EU27.
Sintesi Grafica - uno schema grafico permette di seguire più velocemente le dinamiche rappresentate dalla tabella numerica
Da
questo sintetico quadro emerge abbastanza chiaramente sia la differenza strutturale italiana rispetto a quella
EU27 ma anche una grandissima variabilità all’interno dello stesso sistema
Italia. O meglio una grandissima distanza tra il ‘livello’ delle PI e quello
delle GI.
Nel complesso
il sistema italiano risulta avere una produttività inferiore all’EU27: realizzando
un VA pro-capite pari a 38.816€ contro 42.314€ realizzato in Europa. Tutto
ciò porta a pensare che le competenze e le logiche operative presenti non vadano
nella direzione della professionalità, competenze e preparazione necessarie.
Le
differenze evidenziate mostrano che a fianco ad un piccolo nucleo di grandi aziende
ben organizzate c’è un sistema che vive basandosi su l’’esperienza’ e su competenze del tutto ‘anomale’ (ne tratteremo
in altri articoli) degli imprenditori
italiani che per ottenere i livelli di produttività evidenziati non cercano
né hanno mai sentito la necessità di ricercare competenze tecnico-gestionali di
livello più alto di quelle finora utilizzate (anche perché tecnicamente,
professionalmente ed umanamente INCOMPATIBILI, con gli attuali gestori). Situazioni
del genere non credo possano quindi essere analizzate con l’aiuto di chi è all’interno
del sistema e che, in genere, individua tutti i problemi solo all’esterno del
proprio ambiente
All’estremo
opposto, non possiamo generalizzare esigenze, reali ma dimensionalmente molto
modeste, di quel drappello di Grandi e Medie Imprese che avrebbero interesse a
poter selezionare ‘prodotti’ di maggiore qualità dalla scuola. Qui il problema è però un altro : viste le
ridottissime dimensioni di certi fabbisogni, occorre chiedersi se sia giusto produrre
una qualità così alta che per trovare impiego deve andare all’estero,
incrementando quel Mismatch già abbastanza presente ma che viene sempre visto
dal lato sbagliato.
Perché
dovremmo investire per far utilizzare gratuitamente, anche solo parte di tali
investimenti, ai nostri competitor : EU27, USA, Australia, Canada etc…?
Probabilmente
il primo investimento da effettuare dovrebbe mirare ad incrementare la
produttività del sistema Italia. Quindi
ad elevare/cambiare le competenze di base dei piccoli imprenditori; aiutarli ad
incrementare il Valore Aggiunto (con azioni lato ricavi, prima che costi),
cercando di migliorare la redditività e la patrimonializzazione delle imprese,
in modo da consentire loro di effettuare i necessari investimenti in
tecnologia, competenze e professionalità.
Supportandoli fino a metterli in
grado di comprendere quali ‘prodotti’ del sistema formativo possano essere
utili per loro e cosa fare per renderli quanto più velocemente adeguati al
mondo del Lavoro.
In estrema sintesi
prima di creare un prodotto eccellente, sarebbe forse più opportuno predisporre
un ‘contenitore’ di qualità in grado di non disperdere e valorizzare al massimo detto ‘prodotto’
La
prossima riflessione sulle attuali competenze imprenditoriali e sulle risorse
destinate alla ricerca ed i loro potenziali effetti, ci consentirà di vedere
con ulteriore evidenza quanto, PRIMA ancora del sistema
SCUOLA, il nostro problema si chiami: Sistema
Imprenditoriale.
per concludere, volevo dirvi che anche in AUSTRALIA lo sanno, chissà quanto ci vorrà perchè lo si scopra anche in Italia (ascoltate dal minuto 17 di questa trasmissione)...